Tradizioni napoletane: sasicc’ ‘e friariell’

Salsicce e friarielli

Oggi vi propongo un classico della cucina partenopea, un cavallo di battaglia di inestimabile bontà, ricco di carattere, gusto e calorie … sto parlando proprio di loro:
Sasicc’ e’ Friariell!!!
Sapete secondo me qual è la vera forza di questo piatto? E’ la genialità che i napoletani, ancora una volta dimostrano, di saper cogliere il meglio dal poco, in questo caso dal poco saporito. Si, perché, pensateci … Ma chi è che trova le rape saporite e interessanti?

Ci sono anche dei proverbi che attestano questo mio pensiero.

“Sei una testa di rapa” per indicare chi ha un neurone solitario e depresso che gli gira nel cervello.

“Cavar sangue da una rapa” per dire che è impossibile ricavare qualcosa dal niente …

Nonostante ciò, i napoletani sono riusciti in questa missione che definirla “impossible” non è esagerato. Poveri com’erano di tutto, tranne che dell’ingegno, i napoletani di qualche tempo fa, potevano rivolgere lo sguardo solo verso i cibi poveri quanto loro. A busaare alle porte (di servizio, of course) dei ricchi erano invece le napoletane, che si affollavano sotto le cucine dei nobili nella speranza che si degnassero di buttar loro qualcosa.
Quando i ricchi del momento erano i Francesi, i cuochi (i “Monsù”) d’Oltralpe solevano gettare alla plebe gli avanzi (o peggio: i rifiuti) della cucina. “Les entrailles”, le interiora del pollame e di altri animali divennero così il nome con cui venivano chiamate le popolane che se le contendevano tra urla e spintoni: “zandraglie”, per l’appunto.
Forse è per questo che Napoli è considerata un luogo dell’anima: un luogo interiore. Purtroppo, però, non sempre il cibo pioveva dal cielo. Per mangiare, i napoletani cominciarono a guardare in basso: alle cime di rape. Dove per “cime” s’intendono le infiorescenze non ancora aperte delle rape. In una parola, i broccoletti.
In Italia, a questo alimento s’interessavano in tanti (specie al Sud, terra di poveracci): chi li lessava, chi li cuoceva. I Toscani le chiamavano affettuosamente “rapini”, i baresi li cucinavano con le orecchiette. Questa abitudini sono vive ancora oggi, in quelle terre.
A Napoli no. A Napoli, le cime di rapa prima si lavano, e poi, tutte bagnate, si gettano nell’olio. Con il loro sacrificio danno vita ad uno dei piatti più creativi della cucina partenopea: i friarielli.

Dite voi, dove sta tutta questa creatività? In fondo si tratta di un piatto povero, e pure semplice da preparare. Per capirlo bisogna fare un passo indietro. Quando qualcosa (o qualcuno) non gli piace, o non lo convince, il napoletano dice: “Nun me dà calore.” Calore va inteso come caloria. Il metro è infatti questo: il Bello (e il Buono) sono le cose che nutrono. Contro le calorie a Napoli si è sempre combattuto: non per diminuirle (come si fa oggi nel mondo occidentale), ma per aumentarle. In quest’ottica, le cime di rapa (a buon mercato in qualunque buon mercatino) di calorie ne fornivano davvero poche. In assenza di dietologi e nutrizionisti, quest’informazione proveniva dalla pancia. Per gustarsele, occorreva perciò metterle insieme a qualcosa di fortemente calorico.

Salsicce e friarielli

E’ qui che saltò fuori l’idea geniale, che fece crescere enormemente il prodotto interno lardo dei napoletani: le cime di rapa venivano cotte dentro abbondanti razioni di strutto. Che a Napoli, come tutte le grandi madri, è femminile: ‘a nzogna. Cioè la sugna.
La cerimonia nuziale tra il lardo e la cima di rapa si chiama frittura. Un metodo di cottura che consiste nel mettere un alimento in un grasso portato a temperatura elevata. Un ottimo sistema per fare un pieno di energia.
Oggi qualcosa è cambiato: il grasso. Lo strutto ha ceduto il posto all’olio di oliva: quello extravergine, il più stabile alle alte temperature necessarie per friggere.
L’olio e la frittura però vengono dopo. Prima bisogna dedicare la propria attenzione alle cime di rape. Che vanno raccolte al momento giusto: i fiori devono esserci già, ma non devono essersi ancora aperti. Ma non preoccupatevi troppo: a scegliere le cime di rapa più adatte a diventare friarielli ci pensa il vostro “verdummaro”; a meno che non vogliate mettervi dalla parte dell’orto.
A voi potrebbe toccare il compito di “ammonnarli”: cioè di mondarli delle parti non utilizzabili per la frittura. E’ un altro momento importante, perché vanno lasciate solo le foglie più tenere, insieme a un po’ di gambo, la parte più tenera.
Raccolte, “ammonnate”, e lavate, le cime di rapa vengono invitate ad immergersi nell’olio ben caldo, dove avranno l’onore di diventare friarielli. Mai bollirle prima! Gran parte del sapore, leggermente amarognolo, volerebbe via.
Nella padella, insieme all’olio, c’è già in attesa l’aglio. A cottura quasi ultimata, si può (si deve!) scoprire, si aggiunge il sale e il peperoncino.
Eccoli qua, i friarielli. Finalmente sono nati. Ma da come si muovono nella padella, si comprende che si sentono orfani. Si voltano e si girano, fino a che non vengono portati dalla loro mamma: la salsiccia. Di maiale, ovviamente.
I friarielli senza salsicce sono come Stanlio senza Ollio; come don Chisciotte senza Sancho Panza, come Gargantua senza Pantagruel e aggiungo come Totò senza Peppino.
I friarielli sono una specialità tipicamente napoletana. Proprio come il piatto più famoso della cucina partenopea: la pizza. Non a caso, “’a pizza ch’e friarielle” è stata la prima variante (dopo la Margherita) della pizza.
E della pizza, i friarielli condividono il destino: mangiarli fuori Napoli è quasi impossibile, almeno quanto mangiare una “vera” pizza napoletana.
Già a Roma, non se ne trovano. Né nei mercati, né nei ristoranti,. Ad eccezione di quei pochissimi locali che si fanno arrivare tutto da Napoli (intelligenti loro): pizzaioli, camerieri e materie prime (pomodori, mozzarella, fiordilatte, e –appunto! – friarielli). Ed è lì che pizza e friarielli si ritrovano di nuovo insieme, per la gioia del napoletano emigrato, ma sempre grato alla sua terra per quello che gli dà.

Ed ora torniamo a noi, alla magia di questo piatto che non è per quelli che adorano le mini porzioni ed i sapori delicati … la morte sua qual è? Provate a mangiarvelo in un “cozzetto” di pane, o “cuzzetiello”, il “culetto” del pane, le due estremità di un pezzo di pane, fate voi, l’importante è che poi mi fate sapere.

Ah, il cuzzetiello una volta tagliato svuotatelo della mollica centrale (che metterete da parte), riempitelo con i friarielli e la salsiccia bollenti. Ora riprendete la mollica e tappate il buco, aspettate una decina di minuti e aggreditelo a morsi … ho saputo di gente che raggiunto il Nirvana!!

Ingredienti per 4 persone:
1,5 kg di friarielli
4 salsicce
4 cucchiai di olio d’oliva
1 aglio
1 peperoncino
sale q.b.
In una padella con l’olio portare le salsicce a metà cottura. Togliere le salsicce dalla padella e tenerle da parte in un piatto. Nella stessa padella, magari aggiungete un altro pò di olio, mettere a soffriggere l’aglio tritato finemente, quando l’aglio si è rosato aggiungere i friarielli precedentemente puliti e ben lavati, coprire con un coperchio e far cuocere per circa 10 minuti, sarete sicuri che sono pronti quando premendo un gambetto delle verdure tra le dita questo si schiaccierà facilmente. Aggiungere le salsicce (che a piacere potete tenere intere o tagliate in pezzettoni) e portare a termine la cottura delle stesse. Aggiustare di sale e peperoncino e servire caldissime con tanto tanto pane …
Salsicce e friarielli

Rosa

“Il vino bianco va servito assiderato”

                                                            Totò

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